24/05/15

A denti stretti

A dire la verità, sono un po' stanco di parlare di crepe, fessure, linee di frattura.
Mi sono spiegato la cosa - e l'ho spiegata anche a voi, in un post che è rimasto su questo blog un'ora sola - con il fatto che l'idea di aprire crepe, di scappare, andare fuori, è illusoria.
Poi mi sono riletto, ci ho riflettuto, ed ho cancellato ciò che avevo scritto.



Come sempre, la questione infatti non è sentirsi in trappola o liberi, impotenti od onnipotenti. Questa cosa del "Sistema" è di per sé infantile, e come la fantasia di Dio coagula una certa categoria magmatica (protezione, dominio, paura, violenza) in un oggetto mistico.
Il nemico.



Poi, nella realtà, quella fantasia non funziona.
E un po' quello il problema con le fantasie: non funzionano.
Condannarle per quello sarebbe tuttavia assurdo: perché una fantasia è il modo in cui funzioniamo noi. (O anche il modo in cui ci fanno funzionare)


Sono un po' stanco di Crepe. Perché cercare crepe è cercare di fregare un nemico che, abbiamo già deciso, è composto di tutto il resto salvo noi. E con un passaggio di mano spostarci, mentre nessuno guarda, dalla parte della soluzione. Fare la vittima, e di conseguenza fare vittime.



Penso che sia tempo di spostarsi verso future forme di emancipazione. Non ti fare fregare dalle metafore: parliamo di libero-di, non di libero-da.
Di giocare ad altri giochi, dal momento che un individuo è sempre il punto di intersezione di giochi molteplici.
Non è questione di rompere una continuità, ma di mettere in ordine i pezzi.
E' terapia del linguaggio e del pensiero, senza una sanità in vista.
Addestramento all'imprevedibile.


In pratica: il collante di qualunque cosa si chiami "sistema" è materia umana. Dunque è necessario: disimparare a seguire regole, imparare ad eseguire in tempi brevi trasformazioni emotive ed intellettuali complesse, compiere esercizi di umiliazione ed esaltazione.


E, cosa ancora più importante, compiere tutto questo in modo del tutto deliberato, e senza alcuno scopo. Nel momento in cui un calcolo strategico occupa la tua mente, hai perso.
(Nel Go si chiama Sente, avere l'iniziativa. Si tratta di sostituire la domanda fondamentale "tu cosa vuoi dalla vita" con la domanda "su quale piano intendi impiegare le tue energie, correre dei rischi, produrre i tuoi risultati")


Caro amico, cara amica, vorrei considerarti qualcosa di più di un blocco da rompere, anche se so che ad un certo punto dovrai cercare di superarti, e forse finirai per romperti da solo.
La cosa è affar tuo, e riguarda solo la tua realizzazione. Per parte mia faccio i miei migliori auguri ad ogni pezzetto di te che uscirà dal processo

(Non dimenticare che alcuni esseri umani ragionano in termini di potere: ottenere potere, accrescere potere, sottrarsi al potere. Non dimenticare che il potere non è una nozione sostanziale indipendente, ma dipende da scelte. Se ti concentri sulle tue scelte, e sull'inserirle in una matrice originale, scoprirai che il potere sugli altri e su se stessi è un'illusione dannosa, che provoca crampi mentali. Lascia che la realtà succeda.)

In ultimo: il post un po' triste di ieri lo ripubblico, qui sotto, per completezza.
Non ti fare abbattere, capita a tutti di sentirsi in trappola. E in questi tempi immateriali, quella è la trappola.


23/05/15

Fuori dai denti

Ho realizzato una cosa, amici: sono stanco di crepe.
Non ne posso più di cercare linee di frattura, di cercare cose che vadano in pezzi.
Tanto, alla fine, non è vero che da lì in fondo, da fuori, viene qualcosa.

Vuoi la verità? Non c'è un fuori.
L'hanno inventato.
Lo dondolano davanti ai nostri occhi da uno studio televisivo alla periferia di Milano. Se lo inventano al computer in un ufficetto ancora più piccolo e brutto del tuo salotto, e poi lo spalmano su uno schermo verde.
Non c'è un fuori. Lo inventano continuamente, perché sanno che la voglia di scopare mostra la corda, nel mondo sovrapopolato, e il riflesso della fuga è in crescita costante. D'altra parte il mestiere del millennio è investire sui trend dell'inconscio collettivo.

Siamo cresciuti, ormai. E possiamo rispondere, forse, ad un paio di illazioni non vere: che ci siamo ormai abituati a pensare la realtà un minuto alla volta, che rispondiamo come pesci rossi alla sollecitazione delle lucine colorate sullo schermo. Che siamo totalmente incapaci di articolare un pensiero.

Ma possiamo farlo davvero? E perché poi? A pensare per campi lunghi, a rimanere coscienti, a progettare utopie cosa si guadagna? Dopo tutto l'anestetico industriale che ha preso il posto dell'oppio dei popoli non è lì per divertimento: permette operazioni chirurgiche assai invasive, destinate a cambiare per sempre la conformazione del corpo sociale per farne costolette e macinato fine.

Hai presente Matrix? Beh, immagina di prendere la pillola rossa e di svegliarti dal sogno colorato, di svegliarti in quel baccello di plexiglass pieno di gelatina nutritiva, con i muscoli atrofizzati e cavi collegati ai principali centri nervosi. Ecco, ora immagina di rimanere lì: nessuna nave dei ribelli viene a salvarti. Non esistono, i ribelli. Resti sveglio, cosciente, a nutrire volente o nolente il sistema. Niente superpoteri, niente "conosco il kung fu". Solo un orribile stato di veglia, in un supplemento artificiale di utero, fino a venire salvato da una morte misericordiosa.

In alternativa, puoi illuderti che ci siano comunque "spazi di manovra". Che la vita di ciascuno possa essere riscattata, dedicando una porzione del proprio tempo ed energia al bene.
Nessuno te lo impedirà, è chiaro: il sistema non può essere del tutto inumano, deve mantenersi stabile.
Eppure, fratelli e sorelle, abbiamo smesso da tempo e in piena coscienza di essere umani. Le decisioni che dobbiamo prendere sono sempre più del tipo "dentro o fuori", "giusto o sbagliato", e l'ideologia ha lasciato il posto a qualcosa di talmente tiepido ed universale da passare per comune buon senso.
Ti sarà consentito essere buono nella misura in cui ciò è funzionale, o necessario al funzionamento. Mai quando risulterà dannoso, ai ben altri fini del capitale.

Vuoi salvare i gattini? Accomodati. Vuoi una giornata alla memoria delle vittime? Prego.
Vuoi svegliarti? Cazzi tuoi. Non succede niente, se ti svegli.
Solo esclusione e dolore.
La forma fenomenica della consapevolezza in questo secolo è l'impotenza e la depressione, o al limite il cinismo ipocrita. Non puoi colpire il tuo nemico: il tuo nemico non esiste. Persino pensare di avere un nemico è un lusso, che si può permettere solo qualcuno senza essere tacciato di follia e violenza.

Quindi? C'è ancora qualcosa da dire, a questo punto?
Se mi viene in mente qualcosa, sarete i primi a saperlo.
Nel frattempo: silenzio radio

Difaul.

08/05/15

C'è qualche problema, amico?



Che cos'è un problema? Dove comincia? Nel momento in cui un punto interrogativo conclude una frase? Oppure molto prima, quando un vago prurito invade la coscienza, costringendola ad orbitare sempre più spesso intorno ad un punto cieco, fino a che l'incoerenza non trova la sua strada attraverso il linguaggio, e diventa una domanda (una specifica fra le tante domande che potrebbe indifferentemente diventare)

Che cos'è un problema? Una disfunzione? L'assenza di un obiettivo? Qualunque cosa costringa un essere vivente a muoversi? Quale definizione ne darà lo spettro pieno?

Un famoso personaggio di un film molto amato si presentava dicendo: "Sono Wolf, risolvo problemi". Non è forse vero di ciascuno di noi? Non è forse altrettanto vero l'esatto contrario, che ognuno di noi non fa che produrre incessantemente problemi, e innanzitutto il problema costituito per ciascuno dalla propria esistenza individuale?



Per qualche motivo, sembra che molte poche persone si fermino a considerare che cos'è un problema, di questi tempi. Molte più persone sembrano impegnate a trovare problemi e risolvere problemi. Propri od altrui. Il concetto stesso di problema, problematicità eccetera è sottoposto ad un tale superlavoro che è straordinario come riesca ancora a reggere. Al di sotto di una opacità necessaria, esso comprende territori alieni gli uni agli altri, autorizza - nella forma di un etimema efficacissimo - una circolazione inedita di senso.

Tanto più interessante risulta la serie dei luoghi comuni relativi al concetto di problema.
In primo luogo: la correlazione problema-soluzione. In questo senso, un problema è una deviazione, una malformazione, uno sviluppo aberrante, l'esito di un errore. La correzione del problema permetterà il ristabilirsi di una normalità serena e funzionale.
(L'attività umana nel suo insieme può essere vista come una progressiva eliminazione di problemi tendente alla beatitudine, a patto che si sia disposti ad accettare come articolo di fede la felicità come stato archetipico primigenio, autenticamente umano e recuperabile attraverso correzioni dell'esistente.)

In secondo luogo: la correlazione di un problema con una certa zona della realtà. Questo è un mio problema, un tuo problema, un nostro problema eccetera. Ad ognuno, in questo senso, spettano di diritto (e di dovere) alcuni problemi e non altri.



Le due osservazioni di cui sopra bastano a definire in maniera grossolana una contraddizione cardine: il fatto che un problema sia una deviazione dalla norma, da un procedere altrimenti indisturbato degli eventi, implica che vi sia in effetti una norma da ristabilire. Basterà eliminare qualcosa - la dieta a base di carne? Il capitalismo avanzato? Le scie chimiche? Il vizio del fumo? I gufi? I Black Block? I poveri? - e il resto tornerà a funzionare.

Dall'altro lato, la specificità geografica che assegna ad ogni problema un suo spazio, e ad ogni spazio i suoi problemi può essere interpretato in due modi:
1) i problemi hanno estensioni differenti, ciò che per me costituisce un problema è assolutamente irrilevante dal tuo punto di vista (non costituisce un problema).
2) L'attuale stato di cose è caratterizzabile come problema solo a partire dagli effetti che ha in un certo luogo, o relativamente ad un certo punto di osservazione. Una prospettiva diversamente localizzata, tuttavia, può individuare quello stesso stato di cose come l'assenza di un problema.

Immagina uno stato florido, che importa merci prodotte a bassissimo costo in un altro paese, ed esporta rifiuti da seppellire a basso costo nello stesso paese. Tale stato florido vive una normalità localizzata, a spese altrui. Il paese nel quale i sindacati sono crudelmente repressi e l'acqua avvelenata, allo stesso tempo, ha un problema. Il primo paese, quello florido, afferma per bocca dei propri rappresentanti di volere (e dunque potere) risolvere il problema: dopo tutto, basta osservare il paese florido per convincersi che i suoi abitanti, che hanno raggiunto una certa felicità e una normale e pacifica esistenza, hanno ben saputo risolvere i loro problemi.
Vedi la contraddizione? Dove inizia il problema? Che cos'è un problema?

Non essere ingenuo: un problema non è una cosa, che può essere eliminata o delimitata, è quì, è lì. Un problema è un particolare modo di relazione fra un essere vivente ed il suo intorno - formato da altri esseri viventi.

Nel caso in cui un mio problema sia risolvibile solo al costo della creazione di un problema per te, i nostri sforzi per la trasformazione della realtà andranno in direzioni diverse. Questo io lo chiamo: avere un nemico. Il genere di interazione che si verifica in questo caso è di necessità violento: di una violenza più o meno dichiarata, più o meno sublimata, più o meno istituzionale, ad ogni modo necessaria.